Traffico Internazionale di Rifiuti

Associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti.

 

Nove persone agli arresti domiciliari quattro società e due milioni e mezzo di euro sequestrati.

 

L’operazione

porta la firma congiunta di polizia e carabinieri e parte da un incendio che si è sviluppato nell’area industriale di Frosinone nel 2019. L’incendio si è sviluppato all’interno di un impianto di rifiuti specializzato nel recupero e nel riciclaggio di rifiuti solidi urbani ed industriali. Dagli accertamenti eseguiti sulla gestione dei rifiuti da parte della società affiorava una consolidata associazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti.

Il fascicolo è stato trasferito, per competenza, alla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma.

 

Dall’attività svolta, infatti, è emersa una forte e stabile collaborazione tra gli amministratori (occulti) dell’impianto di Frosinone andato distrutto, le varie società campane che conferivano i rifiuti all’impianto e i gestori dei tanti impianti di smaltimento e recupero finale degli stessi, in primis un impianto di rifiuti di Cisterna di Latina (LT).

 

In particolare è emerso come, dal primo gennaio del 2019, all’interno della compagine societaria fosse entrato un noto imprenditore frusinate il quale aveva sostanzialmente cambiato il core business di detta società. Invero, attraverso diverse società di intermediazione campane, l’imprenditore era riuscito ad accettare dalla Campania ingenti quantità di rifiuti che, invece, dovevano essere lavorati in quella Regione.

 

In particolare l’imprenditore, con i suoi collaboratori e con le società di intermediazione, sfruttando le criticità del sistema di gestione dei rifiuti urbani della regione Campania, consentivano l’abusiva uscita dall’ambito regionale campano di ingenti quantità di rifiuti facendoli confluire presso l’impianto di Frosinone.

 

I rifiuti urbani venivano riclassificati in rifiuto speciale senza subire un trattamento che ne modificasse realmente le caratteristiche e la composizione (soprattutto senza la stabilizzazione della frazione organica), rendendo in tal modo smaltibile tale rifiuto fuori regione, e aggirando così la normativa che vieta lo smaltimento dei rifiuti urbani fuori dalla regione di provenienza.

 

Ciò avrebbe permesso, attraverso la gestione illecita, di garantire profitti non solo alla società conferitrice, ma anche agli intermediari e all’impianto ricevente. 

 

In definitiva i rifiuti provenienti dalla Campania transitavano con semplici operazioni di stoccaggio (senza dunque alcun trattamento) presso l’impianto di Frosinone, al fine di farne perdere le tracce; da qui venivano poi trasportati in altro impianto sito in Cisterna di Latina (LT), e da qui, senza ulteriore trattamento, smaltiti come scarti di lavorazione presso una discarica di Colleferro.

 

Il totale del quantitativo dei rifiuti erroneamente classificati ammonta a circa 2.550 tonnellate.

 

Le indagini hanno accertato che l’incendio dell’impianto di Frosinone non ha segnato la fine del traffico illecito dei rifiuti: l’organizzazione delineatasi intorno all’impianto ciociaro, con a capo un imprenditore locale ed un imprenditore campano quali dominus occulti, ha continuato ad operare su tutto il territorio nazionale ed anche internazionale.

I due infatti, forti delle loro conoscenze in quell’ambito, hanno continuato la loro attività di intermediazione ed al contempo si sono dedicati alla ricerca di un sito da trasformare nel nuovo centro dei loro affari.

 

Le accurate ed articolate indagini condotte dalla Squadra Mobile e dal N.I.P.A.A.F. di Frosinone hanno fatto emergere che, dopo il sequestro del sito, l’attività illecita è stata delocalizzata pertanto dall’impianto di Frosinone presso l’analogo stabilimento in Aviano (PN), operante nel medesimo settore.

 

 

Parte dei rifiuti accumulati presso il citato impianto, inoltre, senza essere sottoposti alla benché minima operazione di selezione o di cernita, venivano poi illegalmente redistribuiti presso ulteriori impianti gestiti da soggetti compiacenti, siti anche al di fuori dei confini nazionali, come in Ungheria o Repubblica Ceca, con il medesimo stratagemma della falsificazione del codice CER identificativo della tipologia dei rifiuti.

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