Serena poteva essere salvata.
Le lesioni alla testa non avrebbero causato la morte se la ragazza, nell’immediatezza, fosse stata curata.
Lo ha riferito in aula il
medico legale, la dottoressa Luisa Regimenti, perito della parte civile. Il trauma cranico dovuto allo scontro con la porta non sarebbe stata la causa della morte. Il decesso, ha detto la dottoressa, sarebbe avvenuto invece a causa del nastro sul naso e sulla bocca.
Anche le ferite causate dal fil di ferro utilizzato per legare il corpo di Serena sono successive alla morte. Che Serena è stata aggredita e spinta violentemente contro la porta della caserma di Arce è la tesi anche di Roberta Bruzzone.
La criminologa ha confermato in aula che i microframmenti ritrovati sul corpo della ragazza sono riferibili all’impatto con quella porta.
Proprio l’impatto ha prodotto una frammentazione pluristrato: sulla testa di Serena vi sono i componenti di tutti gli strati della porta presenti in microframmenti. “L’assenza di tracce – afferma la Bruzzone - la scelta del luogo, le modalità omicidiare, la lucidità con cui è stata gestita tutta la parte successiva al ritrovamento del corpo ci dice che c’è una competenza notevole.
Quello che non hanno previsto gli assassini è la presenza delle microtracce sui capelli di Serena che sono stati protetti proprio dal nastro utilizzato dall’omicida. Il diavolo fa le pentole ma non i coperti”. Così ha concluso la teste.
Ascoltato oggi anche Massimiliano Gemma il convivente di Anna Rita Torriero, la donna con la quale il brigadiere suicida, Santino Tuzi, avrebbe avuto una storia.
L’uomo avrebbe dovuto confermare quanto già riferito a suo tempo ai giudici ossia che la campagna gli avrebbe confidato che lei stessa avrebbe visto Serena entrare in caserma il primo giugno 2001, il giorno della morte della ragazza.
L’uomo oggi in aula ha prima cercato di negare, poi ha detto di non ricordare, infine, messo alle corde, ha confermato la tesi.
Scrivi commento