La qualità dell’aria in provincia di Frosinone è in miglioramento ma non si andrà lontano senza un controllo più accurato sul riscaldamento domestico.
È in sintesi il giudizio che arriva dal presidente degli industriali di Frosinone...
Giovanni Turriziani nota come i dati forniti da Arpa Lazio in dieci anni (dal 2005 al 2015) certifichino il miglioramento della qualità dell’aria.
Nel 2005 infatti c’erano stati 102 sforamenti annui (dal 01 gennaio al 04 Dicembre) mentre quest’anno gli sforamenti sono arrivati a 50. Ancora troppi ma sicuramente molti di meno (la metà). Meglio anche dello scorso anno quando gli sforamenti nello stesso periodo sono stati 60.
Anche dai dati forniti dall’ISPRA nell’ultimo “Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano” circa lo stato della qualità dell’aria di 120 città italiane, emerge che il quadro emissivo nel Comune di Frosinone è radicalmente cambiato dal 2005 al 2015 (ultimo anno analizzato). Una riduzione del 27% delle tonnellate di PM10 emesse nei 10 anni considerati.
Quando però andiamo ad analizzare singolarmente le fonti di inquinamento troviamo dei dati preoccupanti. Il contributo del trasporto su strada, ad esempio, si è ridotto passando dal 41.5% nel 2005 al 27.7% nel 2015.
Al contrario, il riscaldamento domestico ha visto un importante incremento delle proprie emissioni di particolato, passando dal 29.3% al 56.6%, diventando, di gran lunga, la fonte di emissione più impattante quando si parla di PM10. Il ruolo dell’industria, invece, resta marginale: ferma all’11% circa.
E qui arriva l’affondo del presidente di Unindustria: “I Comuni possono applicare tutti i blocchi del traffico, così come gli enti preposti potranno bloccare ogni autorizzazione industriale, ma senza adottare misure per le emissioni prodotte dal riscaldamento domestico, a cominciare dalle caldaie a biomassa, i dati non potranno mai migliorare al di sotto di una certa soglia massima, che ricordiamo è fissata a 35 superamenti dal d.lgs. 155 del 2010.
Per migliorare ancora servono altre misure che non riguardino l’industria o la circolazione”.
È lo stesso Turriziani (in foto) a notare come in questa direzione si siano già mosse le regioni Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte “siglando già nel 2017 uno specifico Accordo di Programma con il quale si sono impegnate ad adottare misure straordinarie per migliorare la qualità dell’aria nel Bacino Padano.
Lombardia ed Emilia Romagna, ad esempio, hanno imposto il divieto, a partire dal 2020, di continuare ad utilizzare generatori di calore a biomassa con una classe emissiva inferiore a “3 stelle”.
Sempre la Regione Lombardia ha poi emanato una deliberazione disponendo il divieto totale di combustione di residui vegetali nei territori al di sotto dei 300 metri, per tutelare, appunto, la qualità dell’aria nella Pianura Padana.
La regione Lazio però è ferma. “Sarebbe opportuno dice Turriziani - che, nel Lazio ed in particolar modo nella nostra valle, l’operatività di alcune misure, come quelle che riguarderanno il divieto di utilizzo delle caldaie a biomassa più impattanti, sia anticipata rispetto al 2022” termine già previsto dall’accordo tra regione e ministero dell’ambiente.
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